lunedì 7 marzo 2011

In scena “Mistero buffo”, umile versione pop di un capolavoro

Paolo Rossi affronta una sfida: non con Dario Fo, ma con il suo testo più celebre

Alla notizia che Paolo Rossi avrebbe messo in scena lo spettacolo capolavoro di Dario Fo (di cui è stato anche allievo) qualcuno ha risposto con grande entusiasmo, qualcuno ha detto che i grandi capolavori non si toccano, qualcuno semplicemente non si è espresso; certo è che di curiosità ne è scaturita tanto che il teatro Vittoria (dove si è esibito per la prima volta a Roma) ha registrato il tutto esaurito.
Se qualcuno si aspetta di vedere l’originale versione fatta da Fo negli anni ’60 (quella che gira in dvd o su youtube, per intenderci) potrebbe rimanere un po’ deluso o… sorpreso.
Come lui stesso dice in un post scriptum del titolo, si tratta di “un’umile versione pop”: umile, perché è con umiltà che si accosta al testo del suo Maestro; pop (forse “popolare”) perché mantiene il suo stile in cui improvvisa, remixa, apre siparietti. Per la prima volta è in scena, insieme all’attore, un musicista rock che ha composto le musiche apposta per lo spettacolo e che interagisce con l’attore.
Il linguaggio usato è piuttosto simile a quello di Fo, il gramelot, ma ovviamente Rossi lo fa suo con tanto di modifiche e anche le storie raccontate non sono le stesse.
Che cosa hanno in comune, allora, i due spettacoli?
È proprio il Mistero Buffo: non è tanto quello che viene detto ma l’argomento che tratta. Il guitto sul palco (e guitto lo è tanto Fo quanto Rossi), seguendo la tradizione dei giullari, si prende gioco del potere, della chiesa senza offendere chi è credente ma chi si approfitta dei credenti.
C’è da dire che Paolo Rossi crea uno spettacolo talmente nuovo che non viene in mente neanche per un secondo il paragone. Le differenze con il Mistero Buffo di quarant’anni fa sono notevoli. Innanzi tutto il passaggio tra il comico e il drammatico è molto meno sfumato. Rossi passa da un genere all’altro in maniera netta tanto che il pubblico ancora non ha smesso di ridere che subito si ritrova davanti qualcosa che non ha nulla di divertente; forse la scelta più saggia è stata quella di affidare la regia a Carolina della Calle Casanova, una giovane ragazza che, per ovvi motivi anagrafici, non ha potuto assistere allo spettacolo di Dario Fo quindi ha dovuto creare quasi dal nulla uno spettacolo nuovo mettendo in risalto il grande istrionismo del “suo” attore-animale da palcoscenico.
Un merito non da poco va a Lucia Vasini che dapprima entra come una persona stralunata e completamente tonta poi si “trasforma” in scena diventando un personaggio talmente tragico che, alla fine del suo grammelot c’è stato un istante di esitazione da parte del pubblico. Come a dire che un applauso non sarebbe stato abbastanza, come se fosse sconvolto da quanto appena visto. È il commento di Paolo Rossi che sintetizza con una sola parola tutto il pensiero che in quel momento volava unanime sopra le teste degli spettatori: “Perfetto”.

Nessun commento:

Posta un commento