Il regista tedesco Jo Baier e i suoi attori, uno straordinario Bruno Ganz e il talentuoso Elio Germano, portano sullo schermo un vero e proprio racconto orale. Un'ora e mezza di dialoghi, di lunghi silenzi, in cui spesso sono i paesaggi a dominare la scena, in un'immersione totale in una natura incontaminata che si fa metafora di quell'essere cosmico di cui Terzani sente – alla fine dei suoi giorni – di fare parte.
In questo senso, “La fine è il mio inizio” è un film difficile. Baier e i suoi sceneggiatori (lo stessoFolco Terzani affiancato da Ulrich Limmer, che è anche produttore) hanno scelto con coraggio di evitare flashback per “movimentare” il film, facendo a meno di ricostruzioni di fantasia, e tentando invece di restare fedeli il più possibile alla storia di vita vissuta realmente da Folco, in quei tre mesi di ritiro in Orsigna insieme a suo padre.
Una scommessa vinta, a conti fatti. La sceneggiatura scarna, intrisa di misticismo e spiritualità, non annoia mai e non si abbandona a insopportabili derive new-age, e così Ganz, che riesce a fornire, con la sua interpretazione, un ritratto vivido della personalità multiforme e sfaccettata di Terzani, che pure dopo la sua conversione alle religioni orientali non perse mai quei tratti di gigioneria e ruvidezza tutta toscana che lo caratterizzarono fino alla fine.
Ottima anche la prova di Germano, che torna sullo schermo dopo la vittoria a Cannes rinunciando a facili protagonismi, con il compito – nient'affatto semplice – di ascoltatore e “spalla”, che affida a sguardi e silenzi l'intensa interpretazione di un figlio che riscopre un padre, tanto ingombrante quanto amato, nel momento più difficile.
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